Sulla necessità di essere presenti al Salone Internazionale del Libro
Tre anni fa, gli editori indipendenti “salvarono” il Salone del Libro di Torino, ciò che rappresentava per una città e un’economia, per un’idea precisa di pluralismo.
La minaccia di un concorrente apparentemente più forte a cento chilometri di distanza spinse a ripensarne la formula. Che puntò su un coinvolgimento senza precedenti del territorio e di tutto ciò che la cultura dell’editoria indipendente rappresentava. Fu lanciato uno slogan che tutti ripresero, mettendo al primo posto un elemento chiave: #iovadoatorino.
Il successo fu clamoroso.
A tre anni di distanza, la minaccia non è rappresentata da un concorrente.
Ma da una società civile profondamente cambiata. È cambiato il Governo, la nostra posizione in Europa, cambiato il nostro modo di percepire alcune priorità.
Anche nel mondo del libro è però cambiato qualcosa. È nata un’associazione che riunisce la maggior parte delle case editrici indipendenti italiane.
Da molti mesi si batte per una Legge più equa per il sostegno del libro e della lettura – a vantaggio di tutti –, per una visibilità maggiore dell’editoria italiana all’estero, per un lavoro congiunto di tutta la filiera del libro.
Il battesimo di ADEI è avvenuto un anno fa proprio al Salone di Torino.
Parole chiave? Indipendenza, pluralismo, bibliodiversità.
Parole da affermare, valorizzare e difendere.
Parole che ADEI non desidera usare come alibi per giustificare o camuffare chi in modo esplicito fa dell’odio razziale, della violenza e dell’intolleranza la cifra del proprio agire politico.
ADEI fa proprie le parole del direttore del Salone del libro di Torino, Nicola Lagioia, quando avverte che “la comunità del Salone possa sentirsi offesa e ferita dalla presenza di espositori legati a gruppi o partiti politici dichiaratamente o velatamente fascisti, xenofobi, oppure presenti nel gioco democratico allo scopo di sovvertirlo”.
Ma mette al primo posto, per sostenere indipendenza, pluralismo, bibliodiversità, il profondo valore dell’”esserci”, a Torino.
Lo slogan di tre anni fa ci sembra più che mai attuale: #iovadoatorino.
Andare a Torino significa prima di tutto ribadire i valori che ci stanno a cuore.
Il programma culturale di Torino è splendido, rappresenta i valori che intendiamo difendere, e insieme tutti i punti di vista con cui intendiamo confrontarci.
Non andare a Torino rischia viceversa di tradursi nel dare spazio a valori che non condividiamo. Strumentalizzare, o peggio subire una situazione delicata come questa significa dare spazio a valori che non condividiamo. Vogliamo dare più spazio possibile a un ragionamento comune su cosa significa sostenere davvero i nostri valori? Allora andiamo a Torino. E andiamoci, a Torino, va da sé, anche per ridiscutere i criteri di ammissione di chi a Torino espone.